martedì 1 maggio 2012

Un terremoto a maggio


Avete mai trascorso il Primo maggio a Berlino? Io ricordo di averlo sfiorato da vicino, di essermi trovato lì nei giorni subito prima (o subito dopo?) la "festa" e di essere rimasto molto colpito dalla tensione che si incontrava nelle strade.

Spesso quella tensione sfocia in violenza e la violenza - certo - è sempre da condannare. Però dalla violenza al Festivalbar  passa un abisso: ecco, lo confesso, io vivo con disagio quel festone pop (mascherato da fricchettone) che ogni anno i sindacati mettono su in Piazza San Giovanni a Roma per il Primo Maggio, quest'anno in modo particolare. Non per il concerto in sé, ci mancherebbe, semmai per il suo essere il centro, l'aspetto più evidente e notiziato, della festa dei lavoratori italiani. Non un atto di disobbedienza massiccio che stabilisca in maniera radicale, anche solo per un giorno, una rivendicazione, una priorità e, perché no, una sovranità.  Le parole dei potenti e la musica dei famosi, nessuna rivoluzione "gentile" (una balera sulla A14, un'astensione di massa dai biglietti ferroviari, un grande pranzo collettivo in piazza o che ne so...) che parli la lingua del contropotere.

Eppure i dati parlano chiaro: in Italia il Primo Maggio quest'anno è la festa del lavoro che non c'è, del licenziamento in tronco, dell'esubero, dell'assenza di garanzie, della gavetta infinita. Ma soprattutto delle morti bianche, che non sono più solo incidenti di lavoro ma anche atti  disperati che hanno troppo a che fare col lavoro per considerarli un'altra cosa.

Se ogni disoccupato, esuberato, precario  o cassintegrato decidesse oggi per un'ora soltanto di alzare al massimo il volume della propria musica, in ogni quartiere sentiremmo crescere la vibrazione dei vetri e i botti dell'aria. E forse avremmo la sensazione (una bella sensazione, credo) che anche questo Paese potrebbe prima o poi iniziare a fremere, o a tremare.

Troviamo la nostra piccola pacifica rivoluzione: ci darà forza. E buon Primo Maggio.

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