mercoledì 2 maggio 2012

Teatro San Martino, tre giorni di Resistenza


Ancora tre giornate di vita per il Teatro San Martino di Bologna: da domani a sabato, l'arena di via Oberdan sarà sede di un'intensa carrellata di atti performativi e dibattiti, il frutto dell'iniziativa di una decina di ragazzi cresciuti in quello spazio e che hanno tentato di mettere in campo una reazione dal basso al commiato di Fortebraccio teatro. Non sarà però un tentativo estremo di scongiurare l'uscita della compagnia di Roberto Latini né di trovare una mediazione con gli enti locali o la proprietà. Sarà semmai l'occasione di osservare dall'alto un sistema - quello teatrale - che perde pezzi di continuo su scala locale e nazionale, con la speranza di raccogliere riflessioni e analisi in grado di ripensare il modello e di rivitalizzare, di conseguenza,  tutto il sistema degli spazi teatrali.

"Non abbiamo richieste se non quelle di capire - scrivono i ragazzi in una nota -  Come fare, cosa fare, se si può ancora fare qualcosa. Partire dal nostro, invitare tutti in questo luogo che è stato così importante negli anni, ritrovarci insieme. Proposta attiva per spargere il seme di una speranza. Speranza che altri spazi non vadano chiusi, altre idee perdute. La nostra non è un’occupazione - spiegano -. Tre giornate autofinanziate e autogestite che abbiano il colore dell'unità nelle differenze. Raccogliere esperienze, idee. Lavori. Percepiamo una crisi ormai conclamata nelle nostre parole e nei nostri corpi. La cultura può essere un nuovo baricentro, un motore trainante attivo? Lanciamo il sasso nell'acqua in attesa che i cerchi si propaghino".


Si parte domani a mezzogiorno con un'assemblea. Poi inizieranno le performance che per tutte le tre giornate si alterneranno a momenti di dibattito. Qui trovate programma e adesioni.

Di Teatro San Martino si è parlato oggi anche in Consiglio Comunale, con un intervento a inizio seduta della capogruppo di Sel, Cathy La Torre: "ogni  tentativo  va  fatto - ha detto -  per salvaguardare una realtà come il Teatro San Martino  che  è  stata  in  grado  di  offrirci  per  tre stagioni un ricco cartellone  di  spettacoli  e  incontri  con  registi,  performer, attori, danzatori  e  di intraprendere  un percorso formativo per giovani attori e attrici. Se  non  fosse  possibile  mantenere in uso quello spazio - ha aggiunto la consigliera - alle Istituzioni chiedo  di impegnarsi perché vengano preservate le produzioni e il percorso formativo. Uno  spazio  che chiude - ha concluso - è sempre una sconfitta, una perdita, una possibilità sottratta alla ricchezza della città".

Teatro Testoni: Ert in uscita, ma rientrerà?


Da un sipario all'altro: sabato scorso con l'ultima replica di Karamazov di César Brie, si è conclusa la stagione del teatro Testoni di Casalecchio di Reno, nel Bolognese. Un sipario più pesante del solito visto che assieme alla stagione chiude anche la convenzione che affidava all'Ert la gestione di quell'arena.

Comune di Casalecchio e Ert ne avevano dato l'annuncio in una nota congiunta diffusa ormai diverse settimane fa e che forse confondeva - più che chiarire - il passaggio che quel teatro è ormai prossimo a compiere: prova ne è il fatto che all'inizio solo il Resto del Carlino riportò la notizia,  titolando sui lavori di ristrutturazione mi sembra, mentre Repubblica ne ha parlato solo l'altro giorno, dando già per definitiva l'uscita di Ert da quella gestione per "regolamento". In realtà, a essere precisi,  non è il regolamento a determinare quest'esito: le norme impongono solo la messa a bando della gestione, quindi l'impossibilità di rinnovare la convenzione automaticamente, ma non impediscono al gestore uscente di ricandidarsi per un nuovo mandato.

Ma quell'articolo, sebbene portasse il racconto un po' oltre la realtà dei fatti, accarezzava un timore molto diffuso nei  "dietro le quinte": nello stesso comunicato, infatti, si accenna rapidamente alla nuova convenzione, ventilando, attraverso una perifrasi, un ridimensionamento delle risorse. "L'Amministrazione Comunale - si legge nella nota - nonostante la crisi economica e i forti tagli alle risorse pubbliche per la cultura, non intende disperdere questo patrimonio teatrale né rinunciare a una programmazione di qualità, attenta ai bisogni della propria comunità, facendo però attenzione alla sostenibilità economica che i tempi difficili impongono".

Attenzione alla sostenibilità economica, dice il Comune. E non è azzardato prevedere che questa attenzione si traduca nel bando in un taglio alle economie, che già nell'ultimo anno - il settimo di gestione Ert, una proproga rispetto alla scadenza della convenzione fissata a sei anni -  si erano assottigliate di circa un quarto. E proprio Ert aveva dichiarato apertamente a inizio stagione la difficoltà di tenere aperto il teatro con quelle cifre: il cartellone che si è chiuso l'altra sera con César Brie era infatti il risultato di una chiamata inviata  dal direttore Pietro Valenti alle compagnie della regione, invitate a portare in scena i propri lavori a incasso, senza vedersi garantito il normale cachet. Un cartellone a chilometro zero, insomma, tutt'altro che sottotono, anzi costellato dai nomi più interessanti della scena contemporanea, dai Motus alla Socìetas Raffaello Sanzio, al Teatro delle Albe, ad Antonio Latella. Un esperimento riuscitissimo ma straordinario, quindi non ripetibile. Un'offerta che, tra l'altro, grazie ad un'interessante programmazione satellite di incontri con le compagnie (realizzata assieme all'Alma Mater), è riuscita ad avvicinare davvero il pubblico al teatro contemporaneo, tanto da garantire una media di circa 320 spettatori a replica, un numero enorme, davvero inconsueto a Bologna per questo genere di spettacoli. 

Inconsueto a Bologna, è bene specificarlo, ma non in altre città della regione: va  infatti riconosciuto a Ert (che ha il suo quartier generale a Modena, dove gestisce Storchi e Passioni, ma che lavora in quasi tutti i capoluoghi di provincia, dall'alta pianura alla riviera) il merito di effettuare un eccellente lavoro sul pubblico, senza scadere in una  programmazione facile e popolare, bensì guidando gli spettatori attraverso accurati percorsi di genere, tanto nel teatro tradizionale quanto in quello di ricerca. E infatti a Modena gli spettacoli a teatro sono quasi sempre "sold out", raccolgono un pubblico ampio e trasversale e ricevono una risposta consapevole e spesso addirittura molto competente. A Bologna, al contrario,  mi è capitato di incontrare all'uscita di un teatro un folto gruppo di anziani che protestava animatamente per la "porcheria" appena andata in scena: si trattava di Finale di Partita di Samuel Beckett, regia di Massimo Castri con in scena uno straordinario Vittorio Franceschi. Tutt'altro che una porcheria insomma, ma quella reazione paradossale di quel gruppetto di abbonati aveva tutto l'aspetto dello sbigottimento di chi per la prima volta - inconsapevolmente - vedeva rappresentato un copione del maestro del teatro dell'assurdo. A Modena, al contrario, ho visto il pubblico della domenica pomeriggio (signore e signori incappottati, per intenderci) esplodere in un boato di applausi per spettacoli analoghi. Lavorare sul pubblico, calibrare l'offerta, pensare accuratamente alle politiche di abbonamento, dotare lo spettatore degli strumenti per decodificare il lavoro drammaturgico: sono tutte azioni che generano effetti immediati ed evidenti nelle platee, quantificabili secondo me perfino nel numero di telefoni che squillano durante una rappresentazione teatrale.

Lo stile del lavoro di Ert e i numeri che quel lavoro ha prodotto sono i punti che bisogna tenere ben chiari nel ragionamento sul Teatro Testoni di Casalecchio: quell'arena funziona molto bene ed è l'unico spazio del bolognese in cui quel modello, quel modo di proporre teatro,  prende forma. Interrompere quella gestione vorrebbe dire non solo perdere quell'offerta ma anche vedere dissolversi uno sprone importantissimo per il sistema teatrale bolognese, già di per sè pigro e poco ricettivo.

La gara per la nuova gestione del Testoni si gioca tutta nelle prossime settimane: Ert (che deve gestire tagli analoghi in molti dei Comuni in cui opera)  per ora non si sbilancia e si riserva di leggere il bando prima di annunciare la propria partecipazione. Sette anni fa per quella gestione si candidò anche Nuova scena, la cooperativa che ha in convenzione l'Arena del Sole di Bologna, nel frattempo trasformatasi in una fondazione. Un antagonismo arcinoto quello tra "modenesi" e "bolognesi", di cui potremmo vedere nuove puntate: quando si trattò di salvare il Duse, un paio di anni fa, furono proprio le schermaglie tra Ert e Nuova scena - e l'incompatibilità tra i due modelli di gestione - a decretare il naufragio della soluzione progettata dagli enti locali, cioè una grande fondazione regionale, determinando tra l'altro la definitiva perdita di un cospicuo finanziamento ministeriale.




martedì 1 maggio 2012

Un terremoto a maggio


Avete mai trascorso il Primo maggio a Berlino? Io ricordo di averlo sfiorato da vicino, di essermi trovato lì nei giorni subito prima (o subito dopo?) la "festa" e di essere rimasto molto colpito dalla tensione che si incontrava nelle strade.

Spesso quella tensione sfocia in violenza e la violenza - certo - è sempre da condannare. Però dalla violenza al Festivalbar  passa un abisso: ecco, lo confesso, io vivo con disagio quel festone pop (mascherato da fricchettone) che ogni anno i sindacati mettono su in Piazza San Giovanni a Roma per il Primo Maggio, quest'anno in modo particolare. Non per il concerto in sé, ci mancherebbe, semmai per il suo essere il centro, l'aspetto più evidente e notiziato, della festa dei lavoratori italiani. Non un atto di disobbedienza massiccio che stabilisca in maniera radicale, anche solo per un giorno, una rivendicazione, una priorità e, perché no, una sovranità.  Le parole dei potenti e la musica dei famosi, nessuna rivoluzione "gentile" (una balera sulla A14, un'astensione di massa dai biglietti ferroviari, un grande pranzo collettivo in piazza o che ne so...) che parli la lingua del contropotere.

Eppure i dati parlano chiaro: in Italia il Primo Maggio quest'anno è la festa del lavoro che non c'è, del licenziamento in tronco, dell'esubero, dell'assenza di garanzie, della gavetta infinita. Ma soprattutto delle morti bianche, che non sono più solo incidenti di lavoro ma anche atti  disperati che hanno troppo a che fare col lavoro per considerarli un'altra cosa.

Se ogni disoccupato, esuberato, precario  o cassintegrato decidesse oggi per un'ora soltanto di alzare al massimo il volume della propria musica, in ogni quartiere sentiremmo crescere la vibrazione dei vetri e i botti dell'aria. E forse avremmo la sensazione (una bella sensazione, credo) che anche questo Paese potrebbe prima o poi iniziare a fremere, o a tremare.

Troviamo la nostra piccola pacifica rivoluzione: ci darà forza. E buon Primo Maggio.